Visita a Caporetto e agli altri luoghi di guerra in Slovenia

Fra i luoghi più famosi in cui è combattuta la prima guerra mondiale c'è sicuramente Caporetto. Si trova in Slovenia, non lontana dal confine italiano ed è assolutamente da visitare, per conoscere la storia, per non dimenticarla. 



Una località può conservare nel suo nome molto più della denominazione datagli. Il suo nome, alle volte, può essere la parentesi che proietta in un qualcosa di storico avvenuto proprio lì. E se poi quell’episodio è una ferita aperta per una nazione (ma anche più di una), allora il nome si rafforza e assume un significato ben più grande. A un italiano basta sentire “Caporetto” e alla mente viene un termine che esprime “la disfatta”, “la sconfitta”. Che venga utilizzato in contesti formali e informali, resta la Waterloo italiana. Essa è una località slovena, tutt’oggi esistente, in cui durante la Grande Guerra si consumò una delle battaglie più cruente della storia, che portò alla morte di centinaia di migliaia di persone.

Il Museo di Caporetto, sala delle armi


I libri di storia ci hanno insegnato a considerare Caporetto una sconfitta per la sola Italia, ma questa è una verità a metà. Gli italiani persero il controllo territoriale – che successivamente sarà riconquistato e quindi riperso con la seconda guerra mondiale – ma a rimetterci furono tutte quelle persone che combatterono per degli ideali, alle volte sfumati e celanti la sola voglia di tornare a casa abbandonando i territori di confine con più identità culturali. Ci rimisero tutti i popoli che combatterono nell’impero Austroungarico, quali gli sloveni, i croati, i bosniaci, i tedeschi, gli austriaci, gli ungheresi e i polacchi. Nessuno escluso. Ci rimise la popolazione locale, trovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Con armi che non erano inferiori a quelle di oggi e addirittura disponevano di pallottole con gas tossici per uccidere all’istante. Insomma, la guerra non portò a nessun risultato utile e resterà per il confine e resterà un fallimento generale.

A Caporetto vinse la strategia di generali visionari tedeschi, che a differenza degli italiani agivano senza un piano e senza una sussidiarietà degli ordini impartiti. Bisognava attaccare? Attaccavano subito. Mentre gli italiani aspettavano risposte dall’alto per potersi difendere. Vinse la strategia dell’avanzare lungo le vallate, accerchiando gli italiani sulle trincee montane.

Di quella vallata, in cento anni esatti, nulla è cambiato. Le verdi vie ai bordi dell’Isonzo sono le stesse di un tempo (da sottolineare l’attenzione degli sloveni nell’essere sostenibili in tutto) e le montagne hanno i connotati che avevano nella prima guerra mondiale. Sono rimaste le trincee, trasformate in musei a cielo aperto, i reperti di guerra e chissà forse anche i corpi di soldati sepolti dal tempo. A Caporetto – oggi chiamata Kobarid – regna il silenzio e in un palazzo si torna indietro nel tempo. Qui c’è un museo che racconta la battaglia, da visitare partendo dal piano superiore per poi scendere gradualmente di livello. Già dall’ingresso è chiaro il messaggio: sulla parete di destra i volti delle tante persone impegnate in guerra, attori e comparse di ogni credo politico e religioso, dal soldato alla crocerossina, e di fronte le loro lapidi appese alla parete di sinistra. Tradotto in parole: la guerra porta solo alla morte.

Il Museo di Caporetto, reperti storici


Si evince dalla spiegazione che i libri di storia si siano limitati a raccontare le circostanze e la sconfitta, senza scendere nel dettaglio. Si sono dimenticati la perfetta strategia tedesca e il coraggio di uomini come “La volpe del deserto” in grado di sconfiggere battaglioni in un’avanzata “Kamikaze”. Si sono dimenticati dei friulani, in prima fila durante la guerra e quasi interamente sterminati. Si sono dimenticati delle lettere dei soldati italiani, che rinnegavano quei territori in quanto privi di identità italiana. Si sono dimenticati – soprattutto – che fra i soldati nemici c’era un rapporto anche di amicizia. Alcuni di questi si scambiavano cioccolata e tabacco, altri praticavano sport collettivi e infine c’era chi si metteva d’accordo su quando sparare colpi di cannone, sbagliando appositamente il bersaglio. Dalle foto appese sulle pareti si scorge la doppia faccia del fronte: una prima fatta di soldati mutilati, una seconda di fratellanza e collaborazione. Una foto ritrae il più anziano e il più giovane soldato austroungarico: il primo di 65 anni, il secondo di appena 12 (morto recentemente a Dubai!). Per il resto tanti reperti storici rinvenuti e una gigantografia dello scrittore Ernst Hemingway, autore del libro “Addio alle Armi”.

Il Museo di Caporetto, in alto la foto del soldato più vecchio assieme al più giovane


A dieci minuti dal Museo di Caporetto si trova l’Ossario Italiano. È stato costruito sul Gradič, ha delle arcate concentriche che racchiudono la Chiesa di Sant’Antonio e fu voluto da Benito Mussolini. La sua inaugurazione avvenne nel settembre del 1938 e da allora vi sono conservati i resti di 7014 soldati italiani, noti e ignoti, morti nella prima guerra mondiale. Poco più avanti è situato il Muzei Planika che racchiude la tipica abitazione slovena dei primi anni del ‘900.

Il Museo di Caporetto, lapidi




L’ITINERARIO STORICO DI CAPORETTO

Per mantenere viva la memoria, e per far godere appieno delle peculiarità territoriali, è stato creato un itinerario per conoscere i luoghi della Battaglia di Caporetto, a piedi o in mountain bike. La durata complessiva dell’itinerario varia a seconda del metodo di spostamento e si protrae per circa 5 km. Il giro comincia dal Museo di Caporetto per poi risalire all’Ossario Italiano. Da qui il sentiero si snoda sulla montagna ritracciando gli spostamenti dei soldati e le loro trincee. La terza tappa è il Tonocov Grad, una costruzione difensiva dalla lunga storia. I primi insediamenti appartenevano all’età del bronzo, il massimo splendore al periodo tardo romano e le mura difensive al medioevo. Fra quei ruderi i soldati cercarono di proteggersi dai colpi di artiglieria nemica.

Si scende, quindi, sull’Isonzo (Soča) scoprendo le tre linee difensive italiane: si può entrare all’interno delle trincee, mimetizzate nel bosco, ma anche in fortini e altre costruzioni dello stesso periodo. L’Isonzo lo si attraversa con una passerella di 52 metri di lunghezza, costruita nell’esatto punto in cui era presente una vecchia passerella. Guadare il fiume a piedi è difficile: forti correnti e acque profonde fino a 15 metri. Si risale per osservare le cascate del Ruscello Kozjak (consigliatissime) per poi tornare indietro e verso la linea difensiva italiana posta su questa sponda del fiume. Infine si attraversa il Pone di Napoleone, risalente al 1750. Venne distrutto il 24 maggio 1915, il giorno seguente alla dichiarazione di guerra dell’Italia. Fu ricostruito dapprima in legno e successivamente in ferro. Da qui si torna verso il centro di Caporetto.

Per ulteriori informazioni: www.visit-soca.com

Il fiume Isonzo, altezza Tolmino




NON SOLO CAPORETTO

In tutti i libri di storia sono finite Caporetto e l’Isonzo, ma ci si è dimenticati delle restanti località limitrofe, anch’esse scenari della prima guerra mondiale. È obbligatoria una visita a Tolmin (Tolmino), il paese da cui il 24 ottobre 1917 partì l’offensiva tedesca. Qui sono presenti tre cimiteri militari, oltre a un ossario e un museo a cielo aperto. Altra tappa è Bovec (Plezzo) in cui si possono visitare due musei di guerra, un cimitero e una fortezza militare. E infine c’è la località di Trenta.

La località di Trenta


A Trenta, della Grande Guerra, resta solo un cimitero. Questo paese va visitato non solo per la storia recente, ma anche perché possiede i connotati del tipico villaggio sloveno, assolutamente da scoprire. Si trova a ridosso del Monte Triglav (Tricorno), che con i suoi 2864 m è la vetta più alta delle Alpi Giulie, in un contesto fatto di piccole abitazioni e grandi vallate verdi che si perdono nei boschi della montagna. Tutto vive nella massima quiete e fa strano pensare che questo angolo di pace sia stato un crocevia durante l’ottobre del 1917. Qui si trova la Dom Trenta, una costruzione museo dedicata alle tradizioni territoriali. Al suo interno sono presenti delle stanze didattiche, che raccontano lo stile di vita del territorio durante l’ultimo secolo. C’è anche una sezione dedicata agli animali che vi vivono. Il più famoso è sicuramente l’orso bruno.

Per ulteriori informazioni: www.trenta-soca.si

trenta slovenia
La Dom Trenta




DOVE ALLOGGIARE

A meno di un’ora di macchina da Tolmino, per una distanza complessiva di 40 km, si può alloggiare in una villa utilizzata come ospedale da campo durante la prima guerra mondiale. Si trova a Vipulzano, paese al confine con l’Italia. Prende il nome di Villa Vipolže.

Durante la Grande Guerra nella villa furono allestite le abitazioni temporanee degli abitanti di San Floriano, per via dell’avanzare delle truppe al fronte. Successivamente fu trasformato in un ospedale da campo e quindi nella sede del Comando di artiglieria della II Armata dell’Esercito Italiano. Fu a più riprese danneggiata, con distruzione del tetto e incendio doloso. Fino al 1989 restò in comodato d’uso per locandieri e per un museo locale, per poi essere definitivamente abbandonata. Solo nel 2007 la villa è stata inserita fra gli immobili da restaurare e nel 2013 si sono avviati i lavori di recupero.

È divisa in quattro livelli. Al piano terra è ricavata una hall con una stanza in cui acquistare prodotti locali e un ristorante gestito dal famoso chef sloveno Tomaž Kavčič e impreziosito dall’arredo ricercato della moglie. Nel piano underground c’è una grande sala destinata ai banchetti. Al primo piano una sala concerti dall’ottima acustica e infine al piano superiore gli appartamenti in cui alloggiare. Sono dotati di un letto matrimoniale (alle volte con ulteriori lettini singoli), una cucina e un bagno. Il tutto viene impreziosito dal design accattivante e dalla costante presenza dell’arte in ogni sua forma.

Per ulteriori informazioni: www.vilavipolze.eu/sl

Vila Vipolze



DOVE CENARE

A un’ora da Tolmin si trova uno dei ristoranti più amati dagli sloveni, ma anche dagli italiani che vivono al confine. Si tratta dell’Ošterija Žogica ed è situata nel paese di Solkan. Possiede i connotati del tipico ristorante sloveno. Oltre a fornire una cucina ricercata e rielaborata da chef, propone una serie di ambienti “calorosi”, in cui soprammobili e dettagli incuriosiscono i visitatori.

Per ulteriori informazioni: www.zogica.com

Scritto: Agosto 2017
Ultima modifica: Agosto 2017

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