Bologna, quei locali unici nel loro genere che vale la pena visitare
La cosa che mi piace di più di Bologna è che puoi trovare attività ristorative uniche nel loro genere. Dietro il loro successo non c’è la bellezza del locale, ma un concept che li fa rientrare fra i locali più interessanti della città. In questo articolo, in continua evoluzione, ve li racconterò uno per uno.
Osteria del Sole. La più antica osteria di Bologna, che assieme a una di Ferrara detiene il titolo di locale più longevo di Italia, è situata in Via dei Ranocchi, nei pressi di Piazza Maggiore, e non ha mai cambiato il suo nome. Si tratta dell’Osteria del Sole, uno dei monumenti e luoghi simbolo della città, famoso più tra i bolognesi che fra i turisti, ed è forse per questo motivo che la sua atmosfera non è mai mutata. Entrando non si ha la percezione di essere in un locale di 550 anni di storia ma in un spazio spartano, dove tutto è messo lì quasi alla rinfusa, senza un ordine pensato. Dove i quadri alle pareti, con personaggi e scene bolognesi, sono inclinati, le vetrinette impolverate e le sedie lasciate libere attorno al tavolo, così come l’ultimo cliente le ha lasciate. E questa confusione è il vero fascino del locale. L’altro fascino è in quella data di apertura, 1465. Pensate: non era ancora stata scoperta l’America, Michelangelo non aveva ancora fatto uscire il David da un blocco di marmo, Leonardo da Vinci stava per dipingere la Gioconda. E in tutto ciò ha resistito agli attacchi alla città, alle invasioni, alle guerre mondiali. Già solo con queste concezioni si dovrebbe entrare nel locale con il massimo rispetto. Ma alla fine il rispetto diventa gioia da osteria al termine del primo bicchiere di vino, quando assieme agli altri clienti – appena conosciuti – ti ritrovi nel cortile all’aperto dedicato al chitarrista degli Skiantos, Fabio Testoni, a bere senza fissarti un limite o un orario. E allora ti immergi nell’atmosfera e immagini tutte quelle celebrità della città che di qui sono passate, come un Carducci, un Marconi, un Dalla o un Guccini. E quante ne continueranno a passare nei prossimi anni, speriamo secoli. Per rispondere al richiamo del Dio Vino.
Perché venir qui? Per vivere la vera Bologna.
Camera a Sud. La grande bellezza di un bar all’italiana sta nella sua atmosfera e in quella filosofia dove non è il bar a nascere attorno a una tazzina di caffè, ma è il caffè a contribuire all’atmosfera di un bar. Lo capirono i creatori del Pedrocchi di Padova, luogo in cui si potevano vivere esperienze quali quella di leggere un giornale (novità al tempo) e dialogare con il prossimo. Lo hanno capito dagli States, tuttavia uno Starbucks, aldilà dei buoni dolci, della rete Wi-Fi e del marketing ben studiato, è un luogo privo di identità e di fondamenta col territorio. Tutto questa introduzione serve a farci comprendere quel concept che si nasconde dietro a un bar bolognese, che dall’eredità del bar all’italiana ha creato un luogo unico nel suo genere. E che piace, e molto. Ci troviamo in Via Valdonica, al fianco di Piazzetta Biagi (dove venne ucciso il politico Marco Biagi), nel pieno ghetto ebraico a pochi passi dal quartiere universitario. Qui si trova il locale “Camera a Sud”, che si sviluppa longitudinalmente al pian terreno di uno stabile. La prima impressione, entrando, è quella di ritrovarsi in uno spazio familiare. Sarà per le poltrone, per i tavolini e le scrivanie, per la libreria distribuita nelle tre stanze del locale. O forse per i libri sparsi ovunque. Più semplicemente per quell’idea che lo rende una biblioteca che all’occorrenza si trasforma in un bar. Qui si viene per studiare o per rilassarsi. Scegli dove sederti e apri i tuoi libri. Vuoi un caffè? Lo ordini. Non lo vuoi? Non fa niente, nessuno ti caccia. A pranzo e a cena lo spazio si converte: ospita le persone che vogliono un piatto caldo. Il tutto senza mai perdere quell’atmosfera di “casa propria”, senza mai destabilizzare quell’equilibrio in cui cliente e gestore sono sullo stesso livello.
Perché venir qui? Per trovare la giusta atmosfera per uno studio e una chiacchierata che siano costruttive.
Cafè de la Paix. Mi è capitato spesso di entrare in dei bar che al fianco della cassa avevano due raccoglitori porta soldi: nel primo erano contenute le monetine offerte come mancia al barista, nel secondo quelle da destinare a progetti umanitari. Quest’ultima teca era sempre vuota. Forse perché non ci fidiamo di lasciare i nostri soldi ad associazioni che non conosciamo, o forse perché quando facciamo del bene vogliamo avere un tornaconto immediato, magari un sorriso della persona a cui stiamo facendo l’offerta. E poi c’è un locale in cui se prendi un caffè stai facendo del bene, ricevendo un sorriso e senza dover lasciare mance alla cassa. È il Cafè de la Paix, situato fra Via Saragozza e Piazza Maggiore. Questo locale unisce la ricerca di prodotti di specialità nazionali ed estere al mercato equo solidale dei piccoli produttori locali, amalgamando il tutto con la professionalità offerta da ragazzi socialmente svantaggiati. Ne viene fuori un ibrido di alta qualità, che porta il cliente a vivere un’esperienza molto lontana dal semplice caffè di qualsiasi altro bar. Si ritrova avvolto in uno spazio caratterizzato da un design semplice, ligneo, e dalla presenza di giovani provenienti da ogni parte del mondo. Così mentre un ragazzo africano ti prepara il caffè, una ragazza dai tratti asiatici lava le stoviglie. Un terzo, dalla fisionomia dell’est, pulisce i tavoli. Il tutto nella più completa semplicità dando l’illusione, o forse il desiderio, che anche fuori da quel “caffè della pace” possa esserci la stessa convivenza fra i popoli, le culture, le religioni. In un mondo più solidale.
Perché venir qui? Per essere contagiato da un’ondata di positività.
Caffè Rubik. Un famoso spot diceva che “non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”. Insomma non conta la dimensione, quanto la qualità. La stessa cosa avviene nei locali: non è detto che un bar sia migliore solo perché è più grande ma anzi alle volte uno spazio molto piccolo esalta ancor meglio la grandezza di un luogo. Come nel Caffè Rubik di Via Marsala, in cui il design sembra essere uscito da un’intuizione geniale. Tutto il mobilio è un omaggio agli anni ’80 – ’90 (gli stessi anni dello spot dei pennelli “Cinghiale”) con le cassette musicali a impreziosire e riempire una piccola saletta di nove metri quadri. Un Emilio Robot, di quelli che hanno accompagnato una generazione intera di ragazzi, me compreso, sta sul bancone a ricordare il nome del locale, mentre una cassettiera spartana viene decorata con le locandine di amari più o meno famosi. A contrastare questi simboli di fine millennio sono i dettagli classicheggianti, come le tazzine che sembrano essere uscite dalla credenza della nonna, di quelle da ricacciare solo in occasioni speciali. Ma quando sono poggiate sul bancone, formato da cassette musicali, assumono una nuova vita. Insomma, gli oggetti che tutti avremo gettato perché oramai inutili, rivivono in uno spazio piccolo, ma che sa essere grande.
Perché venir qui? Per tornare indietro nel tempo.
Funtanir. Si può fare design con un qualcosa che per antonomasia viene nascosto? È la stessa domanda che si pose Renzo Piano, quando progettò il Centre Pompidou, intuendo le potenzialità dell’architettura High Tech. In quella sua idea, le componenti tecniche dell’edificio non dovevano essere più nascoste dentro una muratura, ma esposte, addirittura in facciata. Ma scendiamo da questa astronave nel centro di Parigi e torniamo nella realtà bolognese. In Via Riva di Reno, che prende il nome dal naviglio che un tempo c’era, un locale ha recuperato l’idea di esporre ciò che viene nascosto nelle pareti: le tubature idrauliche. Tutto nasce dalla riconversione dello spazio da azienda idraulica a locale ricettivo (con tanto di b&b). Con le tubature avanzate della precedente gestione è stato possibile progettare nuovi elementi d’arredo, che riempissero le pareti creando giochi di scaffalature e di geometrie. Anche le vasche da bagno sono state riconvertire e trasformate in sedute. Quello che ne vien fuori è un locale di design, da vivere la mattina davanti un caffè o nel dopo serata con un cocktail in mano.
Perché venir qui? Per estraniarsi in un locale unico nel suo genere.
Caffè Marinetti. Quando andiamo al bar, il più delle volte paghiamo il caffè togliendoci le noiose monetine dalla tasca. Pezzi da 10, 20, 50 centesimi, che sommati vanno a coprire quella cifra di circa 1€ da porre al cassiere. E la maggior parte delle volte quella moneta da 20 centesimi ha stampata sulla sua superficie una delle opere più famose del futurismo italiano. Una scultura ideata da Umberto Boccioni, dal nome “Forme dello spazio e del tempo”. Probabilmente lo stesso artista non si sarebbe mai immaginato, al tempo, di avere una sua opera stampata su una moneta internazionale. E così non gli restava altro che pagare il caffè utilizzando quei centesimi, di lire, che gli ingombravano la tasca. Ma in quale bar era facile incontrare Boccioni e i suoi amici futuristi? Se foste nati a cavallo fra l’800 e il ‘900 li avreste potuti incontrare al bar dell’Hotel Baglioni di Bologna. In questo, che è ritenuto l’albergo più famoso della città, dove alloggiò anche Lady Diana, i futuristi si riunivano per discutere. Filippo Tommaso Marinetti, ma anche Giacomo Balla, a prendere decisioni sul movimento. A organizzare mostre, come quella che si tenne qui nel 1914 e a cui partecipò un esordiente Giorgio Morandi. Oggi il bar dell’hotel è dedicato proprio al fondatore del futurismo italiano e la sua insegna riprende il font del tempo. Strano, ma questo bar è tutt’altro che futurista: marmi, sedute antiche e tavolini decorati. Specchi, pianoforte a coda e banconi in legno. Il classico in cui nascevano le discussioni futuristiche, che sfociavano in ispirazione e quindi in opere. Come quella di Boccioni sulla moneta da 20 centesimi, con cui continueremo a pagare caffè.
Perché venir qui? Per vivere le stesse sensazioni di 100 anni fa, in un bar immutato.
Tamburini. La grande bellezza di Bologna è da ricercare anche nelle sue attività storiche. Alcune sono rimaste immutate e conservano la stessa forma di un tempo. Altre si sono evolute restando, comunque, aggrappate al loro stile. È il caso di Tamburini, un locale situato a pochi passi da Piazza Maggiore in quell’angolo in cui sostano da decenni i frati cappuccini. Nasceva come macelleria e successivamente ha trasformato il laboratorio in un locale ristorativo. Gli attrezzi per la lavorazione delle carni sono stati lasciati in vista e valorizzati con un design che non aggredisce l’immagine del locale. Qui ci si può godere l’aperitivo tanto caro ai bolognesi, con un tagliere di salumi misti e formaggi. Accompagnando il tutto con delle salse e del vino di qualità.
Perché venir qui? Per chiacchierare davanti a un piatto di alta qualità.
Questo articolo è in continua evoluzione e volta per volta racconterò un locale bolognese che mi ha colpito per la sua unicità. Se hai da segnalare un locale puoi farlo all’indirizzo iviaggididante@gmail.com
Osteria del Sole. La più antica osteria di Bologna, che assieme a una di Ferrara detiene il titolo di locale più longevo di Italia, è situata in Via dei Ranocchi, nei pressi di Piazza Maggiore, e non ha mai cambiato il suo nome. Si tratta dell’Osteria del Sole, uno dei monumenti e luoghi simbolo della città, famoso più tra i bolognesi che fra i turisti, ed è forse per questo motivo che la sua atmosfera non è mai mutata. Entrando non si ha la percezione di essere in un locale di 550 anni di storia ma in un spazio spartano, dove tutto è messo lì quasi alla rinfusa, senza un ordine pensato. Dove i quadri alle pareti, con personaggi e scene bolognesi, sono inclinati, le vetrinette impolverate e le sedie lasciate libere attorno al tavolo, così come l’ultimo cliente le ha lasciate. E questa confusione è il vero fascino del locale. L’altro fascino è in quella data di apertura, 1465. Pensate: non era ancora stata scoperta l’America, Michelangelo non aveva ancora fatto uscire il David da un blocco di marmo, Leonardo da Vinci stava per dipingere la Gioconda. E in tutto ciò ha resistito agli attacchi alla città, alle invasioni, alle guerre mondiali. Già solo con queste concezioni si dovrebbe entrare nel locale con il massimo rispetto. Ma alla fine il rispetto diventa gioia da osteria al termine del primo bicchiere di vino, quando assieme agli altri clienti – appena conosciuti – ti ritrovi nel cortile all’aperto dedicato al chitarrista degli Skiantos, Fabio Testoni, a bere senza fissarti un limite o un orario. E allora ti immergi nell’atmosfera e immagini tutte quelle celebrità della città che di qui sono passate, come un Carducci, un Marconi, un Dalla o un Guccini. E quante ne continueranno a passare nei prossimi anni, speriamo secoli. Per rispondere al richiamo del Dio Vino.
Perché venir qui? Per vivere la vera Bologna.
Camera a Sud. La grande bellezza di un bar all’italiana sta nella sua atmosfera e in quella filosofia dove non è il bar a nascere attorno a una tazzina di caffè, ma è il caffè a contribuire all’atmosfera di un bar. Lo capirono i creatori del Pedrocchi di Padova, luogo in cui si potevano vivere esperienze quali quella di leggere un giornale (novità al tempo) e dialogare con il prossimo. Lo hanno capito dagli States, tuttavia uno Starbucks, aldilà dei buoni dolci, della rete Wi-Fi e del marketing ben studiato, è un luogo privo di identità e di fondamenta col territorio. Tutto questa introduzione serve a farci comprendere quel concept che si nasconde dietro a un bar bolognese, che dall’eredità del bar all’italiana ha creato un luogo unico nel suo genere. E che piace, e molto. Ci troviamo in Via Valdonica, al fianco di Piazzetta Biagi (dove venne ucciso il politico Marco Biagi), nel pieno ghetto ebraico a pochi passi dal quartiere universitario. Qui si trova il locale “Camera a Sud”, che si sviluppa longitudinalmente al pian terreno di uno stabile. La prima impressione, entrando, è quella di ritrovarsi in uno spazio familiare. Sarà per le poltrone, per i tavolini e le scrivanie, per la libreria distribuita nelle tre stanze del locale. O forse per i libri sparsi ovunque. Più semplicemente per quell’idea che lo rende una biblioteca che all’occorrenza si trasforma in un bar. Qui si viene per studiare o per rilassarsi. Scegli dove sederti e apri i tuoi libri. Vuoi un caffè? Lo ordini. Non lo vuoi? Non fa niente, nessuno ti caccia. A pranzo e a cena lo spazio si converte: ospita le persone che vogliono un piatto caldo. Il tutto senza mai perdere quell’atmosfera di “casa propria”, senza mai destabilizzare quell’equilibrio in cui cliente e gestore sono sullo stesso livello.
Perché venir qui? Per trovare la giusta atmosfera per uno studio e una chiacchierata che siano costruttive.
Cafè de la Paix. Mi è capitato spesso di entrare in dei bar che al fianco della cassa avevano due raccoglitori porta soldi: nel primo erano contenute le monetine offerte come mancia al barista, nel secondo quelle da destinare a progetti umanitari. Quest’ultima teca era sempre vuota. Forse perché non ci fidiamo di lasciare i nostri soldi ad associazioni che non conosciamo, o forse perché quando facciamo del bene vogliamo avere un tornaconto immediato, magari un sorriso della persona a cui stiamo facendo l’offerta. E poi c’è un locale in cui se prendi un caffè stai facendo del bene, ricevendo un sorriso e senza dover lasciare mance alla cassa. È il Cafè de la Paix, situato fra Via Saragozza e Piazza Maggiore. Questo locale unisce la ricerca di prodotti di specialità nazionali ed estere al mercato equo solidale dei piccoli produttori locali, amalgamando il tutto con la professionalità offerta da ragazzi socialmente svantaggiati. Ne viene fuori un ibrido di alta qualità, che porta il cliente a vivere un’esperienza molto lontana dal semplice caffè di qualsiasi altro bar. Si ritrova avvolto in uno spazio caratterizzato da un design semplice, ligneo, e dalla presenza di giovani provenienti da ogni parte del mondo. Così mentre un ragazzo africano ti prepara il caffè, una ragazza dai tratti asiatici lava le stoviglie. Un terzo, dalla fisionomia dell’est, pulisce i tavoli. Il tutto nella più completa semplicità dando l’illusione, o forse il desiderio, che anche fuori da quel “caffè della pace” possa esserci la stessa convivenza fra i popoli, le culture, le religioni. In un mondo più solidale.
Perché venir qui? Per essere contagiato da un’ondata di positività.
Caffè Rubik. Un famoso spot diceva che “non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”. Insomma non conta la dimensione, quanto la qualità. La stessa cosa avviene nei locali: non è detto che un bar sia migliore solo perché è più grande ma anzi alle volte uno spazio molto piccolo esalta ancor meglio la grandezza di un luogo. Come nel Caffè Rubik di Via Marsala, in cui il design sembra essere uscito da un’intuizione geniale. Tutto il mobilio è un omaggio agli anni ’80 – ’90 (gli stessi anni dello spot dei pennelli “Cinghiale”) con le cassette musicali a impreziosire e riempire una piccola saletta di nove metri quadri. Un Emilio Robot, di quelli che hanno accompagnato una generazione intera di ragazzi, me compreso, sta sul bancone a ricordare il nome del locale, mentre una cassettiera spartana viene decorata con le locandine di amari più o meno famosi. A contrastare questi simboli di fine millennio sono i dettagli classicheggianti, come le tazzine che sembrano essere uscite dalla credenza della nonna, di quelle da ricacciare solo in occasioni speciali. Ma quando sono poggiate sul bancone, formato da cassette musicali, assumono una nuova vita. Insomma, gli oggetti che tutti avremo gettato perché oramai inutili, rivivono in uno spazio piccolo, ma che sa essere grande.
Perché venir qui? Per tornare indietro nel tempo.
Funtanir. Si può fare design con un qualcosa che per antonomasia viene nascosto? È la stessa domanda che si pose Renzo Piano, quando progettò il Centre Pompidou, intuendo le potenzialità dell’architettura High Tech. In quella sua idea, le componenti tecniche dell’edificio non dovevano essere più nascoste dentro una muratura, ma esposte, addirittura in facciata. Ma scendiamo da questa astronave nel centro di Parigi e torniamo nella realtà bolognese. In Via Riva di Reno, che prende il nome dal naviglio che un tempo c’era, un locale ha recuperato l’idea di esporre ciò che viene nascosto nelle pareti: le tubature idrauliche. Tutto nasce dalla riconversione dello spazio da azienda idraulica a locale ricettivo (con tanto di b&b). Con le tubature avanzate della precedente gestione è stato possibile progettare nuovi elementi d’arredo, che riempissero le pareti creando giochi di scaffalature e di geometrie. Anche le vasche da bagno sono state riconvertire e trasformate in sedute. Quello che ne vien fuori è un locale di design, da vivere la mattina davanti un caffè o nel dopo serata con un cocktail in mano.
Perché venir qui? Per estraniarsi in un locale unico nel suo genere.
Caffè Marinetti. Quando andiamo al bar, il più delle volte paghiamo il caffè togliendoci le noiose monetine dalla tasca. Pezzi da 10, 20, 50 centesimi, che sommati vanno a coprire quella cifra di circa 1€ da porre al cassiere. E la maggior parte delle volte quella moneta da 20 centesimi ha stampata sulla sua superficie una delle opere più famose del futurismo italiano. Una scultura ideata da Umberto Boccioni, dal nome “Forme dello spazio e del tempo”. Probabilmente lo stesso artista non si sarebbe mai immaginato, al tempo, di avere una sua opera stampata su una moneta internazionale. E così non gli restava altro che pagare il caffè utilizzando quei centesimi, di lire, che gli ingombravano la tasca. Ma in quale bar era facile incontrare Boccioni e i suoi amici futuristi? Se foste nati a cavallo fra l’800 e il ‘900 li avreste potuti incontrare al bar dell’Hotel Baglioni di Bologna. In questo, che è ritenuto l’albergo più famoso della città, dove alloggiò anche Lady Diana, i futuristi si riunivano per discutere. Filippo Tommaso Marinetti, ma anche Giacomo Balla, a prendere decisioni sul movimento. A organizzare mostre, come quella che si tenne qui nel 1914 e a cui partecipò un esordiente Giorgio Morandi. Oggi il bar dell’hotel è dedicato proprio al fondatore del futurismo italiano e la sua insegna riprende il font del tempo. Strano, ma questo bar è tutt’altro che futurista: marmi, sedute antiche e tavolini decorati. Specchi, pianoforte a coda e banconi in legno. Il classico in cui nascevano le discussioni futuristiche, che sfociavano in ispirazione e quindi in opere. Come quella di Boccioni sulla moneta da 20 centesimi, con cui continueremo a pagare caffè.
Perché venir qui? Per vivere le stesse sensazioni di 100 anni fa, in un bar immutato.
Tamburini. La grande bellezza di Bologna è da ricercare anche nelle sue attività storiche. Alcune sono rimaste immutate e conservano la stessa forma di un tempo. Altre si sono evolute restando, comunque, aggrappate al loro stile. È il caso di Tamburini, un locale situato a pochi passi da Piazza Maggiore in quell’angolo in cui sostano da decenni i frati cappuccini. Nasceva come macelleria e successivamente ha trasformato il laboratorio in un locale ristorativo. Gli attrezzi per la lavorazione delle carni sono stati lasciati in vista e valorizzati con un design che non aggredisce l’immagine del locale. Qui ci si può godere l’aperitivo tanto caro ai bolognesi, con un tagliere di salumi misti e formaggi. Accompagnando il tutto con delle salse e del vino di qualità.
Perché venir qui? Per chiacchierare davanti a un piatto di alta qualità.
Questo articolo è in continua evoluzione e volta per volta racconterò un locale bolognese che mi ha colpito per la sua unicità. Se hai da segnalare un locale puoi farlo all’indirizzo iviaggididante@gmail.com
Hai descritto ogni bar in un modo davvero intrigante! Complimenti e grazie per avermi fatto scoprire alcuni posti nuovi, andrò sicuramente a provarli.
RispondiElimina(Consiglio anche il Bar Senza Nome, gestito interamente da persone non udenti)