Il Coke Live Music Festival
Durante il mio soggiorno a Cracovia, ho avuto modo di partecipare al più famoso evento polacco dell’anno: il Coke Live Music Festival. Come riportato nel nome, è un evento musicale organizzato dalla Coca Cola e prevede due giorni di concerti, in un’area fuori dal centro abitato di Cracovia. Vi abbiamo preso parte in quel 2010, pagando il biglietto intero una cinquantina di euro. Poco considerando che gli ospiti erano dal calibro di Chemical Brothers, 50 Seconds to Mars, N.E.R.D, Panic! At the Disco, Big Pink, e soprattutto loro, i Muse. Il mio gruppo preferito, sin da quando ho cominciato a “levigare” i miei gusti musicali.
Il palco principale era sulla sinistra e dava le spalle all’ingresso. A suonare un famoso gruppo polacco, tuttavia il pubblico era poco e andava a completare solo le primissime file. Davanti l’ingresso si apre il lungo viale del festival, che attraversa l’intera area distribuendo verso i tanti palchi. Sulla sua destra si alternavano le attività commerciali, fra cui ho appuntato: un centro massaggi, un centro tatuaggi, un rivenditore autorizzato di maglie, un’area relax, una decina di chioschi che vendono dall’hamburger alle patatine, altri sponsor minori col loro furgone. Sulla sinistra, oltre al palco principale, vi era una tensostruttura con la discoteca techno-house e un capannone per gli altri eventi correlati. Infine, sull’estrema destra era presente un’area attrezzata per la griglia delle carni (ottime quelle specie di salsicce speziate). Lungo il viale transitavano hostess e promoter che ti offrivano di tutto: dalla Coca Cola da 250 ml (arrivata in Italia anni dopo al prezzo di 1€), alla Coca Cola Zero, alla quale puntavano tanto, e tantissime ragazze vestite da infermierine che ti regalavano pacchi di preservativi. A fine serata ho contatto trenta pacchi di preservativi da tre ognuno. Insomma, una scorta trimestrale. La cosa bella sono le conoscenze: aspettavi il tuo turno al bagno, meglio definirli cessi della peggior specie, e venivi circondato da ragazze interessate alla tua nazione. E tanti italiani sparsi.
Il primo concerto, quello dei Big Pink, lo ascoltiamo dalle sdraio per il relax. Quando salgono i N.E.R.D. con il loro front man Pharrell Williams, corriamo verso il palco e ci gustiamo le due ore di rap rock. Pharrell è il vero animatore del gruppo: spazia sul palco, scende nel pubblico (riesco a dargli una pacca sulla spalla) e fa ballare la piazza. Shae Haley, molto più composto, si nasconde dietro un cappello nero. E due cubiste, a muoversi attorno al palo. Il concerto scalda la folla, in attesa dei 50 Seconds to Mars. Quando arrivano (in ritardo di poche decine di minuti), l’intera piazza è stracolma. Quasi tutte ragazze, affascinate dal cantante e attore Jared Leto. Le loro urla perforano le mie orecchie e rendono impossibile l’ascolto del concerto. Dopo la canzone “From Yesterday”, decidiamo di allontanarci dal palco, per mettere qualcosa sotto i denti.
Il concerto migliore della prima giornata è di certo quello dei Chemical Brothers. L’oscillazione provocata dalle casse, penetra nel nostro corpo, dando la sensazione di scossa continua. Solo muovendosi si alleggerisce il sintomo. Si dispongono dietro una postazione da dj e cominciano con i loro classici. Da “Believe”, a “Galvanize”, ma anche “Star Guitar”, “Hey boy, hey girl”, “Do it again”. Mentre la musica rimbomba, sul palco si alternano immagini che seguono il ritmo. Due ore intense e di qualità . Il loro concerto viene apprezzato da tutti i presenti.
Il giorno dopo entriamo da un secondo ingresso, in pieno ritardo. Vediamo il concerto dei Panic! At the Disco, della quale conoscevo le sole “Monnalisa” e “I write sins not tragedies”. Ma la vera attesa era quella per i Muse. Finalmente avrei assistito a un loro concerto. Li seguivo dal 2002, quando scoprii la canzone “Micro Cuts”, famosa per uno spot pubblicitario. Non la cantano quasi mai nei loro concerti, comunque uno ci spera, non si sa mai. Si presentano e cominciano subito a suonare. Matthew Bellamy è in pantalone rosso e t-shirt bianca. Prende una delle sue tante chitarre elettriche e parte con “New Born”. La canzone ci scatena: saltiamo, poghiamo e urliamo. Proprio come mi aspettavo il concerto. Seguiranno successi quali: “Time is Running Out”, “Hysteria”, “United States of Eurasia”, “Uprising”, “The Resistence”, “Undisclosed Desire”, “Plug in Baby”. Tanti gli effetti speciali, dalle scenografie fatte di raggi laser ai palloni gonfiabili usciti dal palco. Ma è stata l’ultima canzone, quella di chiusura, a farci saltare quanto mai prima di quel momento: “Knights of Cydonia”. Re minuti di assolo di chitarra e la piazza in delirio. Un viaggio nel viaggio, la ciliegina sulla torta di un interrail. Un’esperienza da rifare.
Il palco principale era sulla sinistra e dava le spalle all’ingresso. A suonare un famoso gruppo polacco, tuttavia il pubblico era poco e andava a completare solo le primissime file. Davanti l’ingresso si apre il lungo viale del festival, che attraversa l’intera area distribuendo verso i tanti palchi. Sulla sua destra si alternavano le attività commerciali, fra cui ho appuntato: un centro massaggi, un centro tatuaggi, un rivenditore autorizzato di maglie, un’area relax, una decina di chioschi che vendono dall’hamburger alle patatine, altri sponsor minori col loro furgone. Sulla sinistra, oltre al palco principale, vi era una tensostruttura con la discoteca techno-house e un capannone per gli altri eventi correlati. Infine, sull’estrema destra era presente un’area attrezzata per la griglia delle carni (ottime quelle specie di salsicce speziate). Lungo il viale transitavano hostess e promoter che ti offrivano di tutto: dalla Coca Cola da 250 ml (arrivata in Italia anni dopo al prezzo di 1€), alla Coca Cola Zero, alla quale puntavano tanto, e tantissime ragazze vestite da infermierine che ti regalavano pacchi di preservativi. A fine serata ho contatto trenta pacchi di preservativi da tre ognuno. Insomma, una scorta trimestrale. La cosa bella sono le conoscenze: aspettavi il tuo turno al bagno, meglio definirli cessi della peggior specie, e venivi circondato da ragazze interessate alla tua nazione. E tanti italiani sparsi.
Il primo concerto, quello dei Big Pink, lo ascoltiamo dalle sdraio per il relax. Quando salgono i N.E.R.D. con il loro front man Pharrell Williams, corriamo verso il palco e ci gustiamo le due ore di rap rock. Pharrell è il vero animatore del gruppo: spazia sul palco, scende nel pubblico (riesco a dargli una pacca sulla spalla) e fa ballare la piazza. Shae Haley, molto più composto, si nasconde dietro un cappello nero. E due cubiste, a muoversi attorno al palo. Il concerto scalda la folla, in attesa dei 50 Seconds to Mars. Quando arrivano (in ritardo di poche decine di minuti), l’intera piazza è stracolma. Quasi tutte ragazze, affascinate dal cantante e attore Jared Leto. Le loro urla perforano le mie orecchie e rendono impossibile l’ascolto del concerto. Dopo la canzone “From Yesterday”, decidiamo di allontanarci dal palco, per mettere qualcosa sotto i denti.
Il concerto migliore della prima giornata è di certo quello dei Chemical Brothers. L’oscillazione provocata dalle casse, penetra nel nostro corpo, dando la sensazione di scossa continua. Solo muovendosi si alleggerisce il sintomo. Si dispongono dietro una postazione da dj e cominciano con i loro classici. Da “Believe”, a “Galvanize”, ma anche “Star Guitar”, “Hey boy, hey girl”, “Do it again”. Mentre la musica rimbomba, sul palco si alternano immagini che seguono il ritmo. Due ore intense e di qualità . Il loro concerto viene apprezzato da tutti i presenti.
Il giorno dopo entriamo da un secondo ingresso, in pieno ritardo. Vediamo il concerto dei Panic! At the Disco, della quale conoscevo le sole “Monnalisa” e “I write sins not tragedies”. Ma la vera attesa era quella per i Muse. Finalmente avrei assistito a un loro concerto. Li seguivo dal 2002, quando scoprii la canzone “Micro Cuts”, famosa per uno spot pubblicitario. Non la cantano quasi mai nei loro concerti, comunque uno ci spera, non si sa mai. Si presentano e cominciano subito a suonare. Matthew Bellamy è in pantalone rosso e t-shirt bianca. Prende una delle sue tante chitarre elettriche e parte con “New Born”. La canzone ci scatena: saltiamo, poghiamo e urliamo. Proprio come mi aspettavo il concerto. Seguiranno successi quali: “Time is Running Out”, “Hysteria”, “United States of Eurasia”, “Uprising”, “The Resistence”, “Undisclosed Desire”, “Plug in Baby”. Tanti gli effetti speciali, dalle scenografie fatte di raggi laser ai palloni gonfiabili usciti dal palco. Ma è stata l’ultima canzone, quella di chiusura, a farci saltare quanto mai prima di quel momento: “Knights of Cydonia”. Re minuti di assolo di chitarra e la piazza in delirio. Un viaggio nel viaggio, la ciliegina sulla torta di un interrail. Un’esperienza da rifare.
Nessun commento: