La Netural Walk, pensieri sparsi sul mio taccuino
Durante la terza edizione della Netural Walk ho appuntato - giorno dopo giorno - appunti e impressioni sul mio taccuino. Cosa ne รจ uscita fuori? Una lista di aneddoti.
Tortora, giorno 1
Tortora, giorno 1
Il camminatore che condivide questa esperienza con te e ti dร  consigli di vita, nonostante lo conosci da due giorni.
Geppuzzo,
 uno degli abitanti di Tortora, ci invita nel suo laboratorio 
artigianale, dove lavora la terracotta. Si siede sullo sgabello, aziona 
il macchinario e durante la spiegazione prende il primo panetto di 
argilla. Lo impasta con dell’acqua, evitando di sbagliare le 
proporzioni. Dopodichรฉ getta il tutto sul rullo e comincia a lavorarlo. 
La terracotta cresce e ben presto assume le sembianze di un vaso. Un po’
 come nel film “Ghost”, senza Demi Moore e con Geppuzzo al posto di 
Patrick Swayze. Gonfia sempre piรน il manufatto e alla fine, con un colpo
 di dita, crea lo scolo da dove uscirร  il vino. Quel colpo finale ci fa 
tutti sorridere e spalancare gli occhi. Infine lascia la brocca sulla 
scaffalatura. Niente Demi Moore, niente amore dopo la terracotta. Solo 
venti curiosi osservatori che a malapena entrano nella bottega. 
Dormiamo
 in gruppo all’interno di una camerata, forse una ventina di persone. E 
ognuna imposta la sveglia. La mattina ne sento solo una: la mia. E gli 
altri giร  sono svegli a prepararsi il borsone. 
La storia 
d’Italia รจ passata per Tortora. O meglio Giuseppe Garibaldi e la 
spedizione dei Mille sono passati per Tortora. Secondo le fonti, il 
patriota attraversรฒ il piccolo arco in sella al suo cavallo e riposรฒ in 
un’abitazione rosso porpora. Una targa ricorda l’accaduto. Lungo la via 
una teca conserva 1000 bottoni rossi, per ricordare l’impresa di chi ha 
forgiato la nostra Nazione.
Aieta, giorno 2 
Ogni
 volta che mi insegnano un nuovo gioco sono un po’ scontroso. Ma non 
perchรฉ non mi piaccia giocare o odi lo stare in compagnia, semplicemente
 non ho voglia di ascoltare qualcuno che mi spiega tre o quattro volte 
le regole del gioco. Cosรฌ faccio lo scazzato e magari mi distraggo. Poi 
capisco che devo giocare per forza, o perchรฉ manco solo io nella 
comitiva, o perchรฉ sono indispensabile per lo svolgimento. Da quel 
momento sono consapevole che dovrรฒ ascoltare colui che mi spiega le 
regole. Naturalmente non ci capisco niente e sento ripetere piรน volte la
 solita inutile frase “รจ piรน difficile a spiegarsi che a farsi”. Per 
fortuna qualcuno propone una simulazione e allora sรฌ che ci capisco 
qualcosa. Se poi il gioco mi sembra carino non lo abbandono piรน. Ecco 
perchรฉ quando i tre veterani, Gianni, Mariateresa e Donato hanno 
ricacciato il gioco non ho ascoltato nulla fino alla prova. Ci hanno 
insegnato il Turtle Wushu, da fare in gruppo – meglio se in molte 
persone – dove ognuno deve difendere il tappo che ha sul pugno della 
mano. Quel tappo rappresenta la tua vita. Se cade sei morto. Se te lo 
fanno cadere sei morto. Se lo tieni sul pugno continui a giocare. La 
mano libera, solitamente quella mancina, รจ la tua arma, con la quale 
puoi applicare mosse di finto Wushu per far cadere il tappo 
all’avversario. E non รจ facile perchรฉ ognuno si protegge col corpo e 
mentre sferri il tuo attacco, qualcun altro attacca te. Come in un campo
 di battaglia. Io ho trovato una tecnica perfetta: fingo di essere stato
 sconfitto e metto le mani sui fianchi, facendo attenzione a non far 
cadere il tappo dal pugno, altrimenti sarei fuorigioco. Dopodichรฉ 
aspetto che tutti si scannino fra di loro e quando ne resta solo uno 
sferro l’attacco decisivo. E vinco. E vinco piรน volte. E piรน volte 
faccio innervosire gli avversari. Dopo tre vittorie hanno imparato la 
mia tecnica e sono il primo a essere preso di mira. Per la prossima 
volta dovrรฒ escogitare nuove idee per vincere. Nel frattempo ho un gioco
 da spiegare a qualcuno, sempre che lui sia disposto ad ascoltarmi. 
Il
 tramonto dal Palazzo Rinascimentale di Aieta ci lascia a bocca aperta: 
il sole muore nel mare, appena visibile dalle due colline antistanti il 
paese. 
Del borgo di Aieta mi ha affascinato molto 
un’attivitร  commerciale: il tabaccaio. Visto dall’esterno non sembra 
affatto un tabaccaio, perchรฉ vengono esposte delle ceste intrecciate a 
mano e delle stoffe. Ma la “T” bianca su fondo nero ci indica la 
presenza di questo punto vendita al suo interno. Ci lavorano una coppia 
di anziani, sulla ottantina. Lui statuario, lei dal viso particolare. 
Chiediamo gentilmente una fotografia. Ce la negano. Chiediamo nuovamente
 una fotografia e alla fine accettano, seppur contrariati. Lui si mette 
immediatamente in posa, lei rovista sotto al bancone e ricaccia un paio 
di occhiali da sole scuri e un cappello bianco. Ci concedono tre secondi
 per lo scatto e poi si voltano per non farsi fotografare. 
Nell’agriturismo
 vicino ad Aieta c’รจ un piccolo cane che non fa altro che abbaiare. Ti 
annusa e poi ti abbaia. Ti scodinzola e poi ti abbaia. Si fa accarezzare
 e poi ti abbaia. Dopo pranzo, e dopo aver ricevuto del cibo da tutti, 
crolla dal sonno. E non abbaia piรน. Puoi fargli di tutto, tanto non si 
sveglia. Passa fra le braccia di tutti noi, venendo trattato come un 
peluche. Ma lui continua a dormire. Quando si sveglierร  tornerร  ad 
abbaiare, ne sono sicuro.
Odio il merletto. Odio il 
tombolo. Odio tutto ciรฒ che ha a che fare col ricamo. Mi annoia. E non 
so perchรฉ tutte le volte che mi ritrovo davanti una esperta di tombolo, 
questa pensa io sia un appassionato. Cosรฌ ad Aieta capito in una stanza 
con tante stoffe esposte. La signora arriva e pensando sia un 
appassionato mi dice: “quello viene da Isernia, ma ti consiglio di 
fotografare questo nostrano”. 
Tornando verso il campo sportivo veniamo assaliti da quattro cani: tutti cuccioli di labrador in cerca di coccole.
Piana del Carro, giorno 3
In
 una frazione di Aieta, con forse venti abitanti, pranziamo fuori da una
 chiesa in legno. Non ha i connotati di una chiesa e la si potrebbe 
confondere per una baita di montagna o per il centro di un comitato 
locale. Ma la campana all’esterno ti accenna che qualcosa con la 
religione lo ha a che fare. Una signora ci apre la porta e ci fa 
utilizzare i bagni. Ci racconta che all’interno della chiesa si svolge 
una funzione al mese e nei restanti giorni si organizzano riunioni o 
preghiere collettive. Fino a poco tempo fa dicevano anche il rosario, in
 due. Fino a che una delle due signore รจ morta. Adesso ne resta una, 
quella che ha le chiavi, ma preferisce dire il rosario a casa. Ma non fa
 niente. Ogni ora la campana suona e ricorda al locale e al forestiero 
che quella รจ una chiesa (o ti fa capire che quella baita di montagna ha 
qualcosa a che fare con la religione). 
Il vecchio senza casco che sfreccia con la sua vespetta in una strada di campagna.
Dopo
 la doccia ghiacciata, la sfida di calcio e la presentazione del libro, 
abbiamo solo fame. Arriva lo chef vegano e ci illustra tutto il ben di 
Dio sul tavolo. Ci spiega i metodi di preparazione che possono essere 
interessanti in qualsiasi momento della tua vita, tranne quando hai 
fame. Nel frattempo salgono dei gatti sul tavolo e interrompono la 
parola dello chef. Piรน lo stoppano e piรน la cena si posticipa. Alla fine
 del lungo discorso ho giร  il piatto fra le mani e come un avvoltoio 
sono pronto a sferrare il mio attacco sul pezzo di cibo che ritengo piรน 
invitante. Sino a che, dalle retrovie, qualcuno caccia l’organetto e 
comincia a suonare una tarantella. Ed รจ una delle mie preferite: ci 
vorrebbe una zitella. La adoro, l’ho avuta nel lettore per anni. Dopo 
due strofe ritorno a essere l’affamato di due minuti prima e penso: 
cavolo, sta canzone dura sei minuti!
La sera a Piana del 
Carro un musicista prende la chitarra e ci fa ascoltare qualche pezzo di
 musica italiana. Canta Mannarino, canta le canzoni dei briganti, canta 
gli Almamegretta. Ogni canzone รจ anticipata da una spiegazione e da un 
bicchiere di vino rosso. A un certo punto decide di brindare alla terra.
 Prende il suo bicchiere e cerca di rovesciarlo sotto il terrazzo in cui
 suona. Ma prima della terra c’รจ una tettoia e sotto ancora Cometina 
l’asina. Cosรฌ si risiede e versa il vino sulla sua gamba: “tanto un 
giorno anche io sarรฒ terra!”. E via col prossimo pezzo. 
L’orto
 sinergico mi affascina. Non lo conoscevo, ma penso ci farรฒ un pensiero,
 magari quando avrรฒ uno spazio da destinare a orto. Vengono fatte 
crescere tutte piante diverse fra loro e ognuna tende a interagire con 
l’altra, creando un ecosistema perfetto. Quella che ha proprietร  
antibatteriche aiuta quella che ha altre proprietร . E tutte collaborano 
fra loro. Se non ci credete ho visto in una mattina zucche giganti, 
girasoli giganti e pomodori stupendi. 
Altro che Luca Sardella, “O’Massaro” รจ il vero pollice verde. 
Dopo
 esserci fatti una doccia ghiacciata, raggiungiamo la Casa del Carro, 
situata nell’omonima Piana. Aspettiamo che venga presentato il libro dal
 titolo “Genuino Clandestino” e nel frattempo io e Alfredo diamo due 
calci al pallone trovato nello spiazzo. Ci raggiunge un bambino, figlio 
del moderatore del libro presentato. Avrร  un massimo di cinque anni e si
 inserisce nel gioco. Prepara la porta da calcio, che รจ tutto fuorchรฉ 
una porta da calcio. Non ha due pali che ne delimitano il dentro o 
fuori, bensรฌ un solo palo. Ma se calci sul singolo palo non fai goal, ma
 prendi il palo. Perciรฒ nessuno capisce quando il tiro sia 
effettivamente goal o meno. Poi invita tre ragazze del gruppo e le mette
 contro noi uomini. La sfida รจ accesa, volano calci e strattonate. E 
ogni qual volta ci ritroviamo davanti alla porta una domanda ci assilla:
 ma dove dobbiamo calciare? Addosso a quel palo? E alla fine, 
nell’attesa, passiamo la palla al compagno e continuiamo questa sfida 
col pallone. Il risultato finale รจ di 3 – 1 per noi uomini, ma nessuno 
di noi ha mai calciato in porta. Non fa niente, ciรฒ che conta รจ 
vincere. 
Laino Borgo, giorno 4
Scendendo da
 Piana del Carro, Biagio il cantastorie ci fa accomodare nel bosco al 
fianco della strada. Sediamo a terra e mettiamo le gambe incrociate. 
Seguiamo i suoi ordini. “Adesso inspirate, espirate. Chiudete gli occhi.
 Inspirate, espirate. Vedete il vostro respiro uscire dai polmoni? 
Inspirate, espirate”. E cosรฌ per i restanti cinque minuti. In realtร  io 
non vedo nessun respiro e l’unica preoccupazione รจ quella di immortalare
 il momento con delle fotografie. Ma l’esercizio prosegue. “Inspirate, 
espirate”. E quando il respiro รจ arrivato fino alla galassia (“vedete il
 vostro respiro che arriva fino alla galassia”), Biagio tenta di suonare
 lo scacciapensieri senza successo. Nessuno se ne accorge, perchรฉ tutti 
hanno gli occhi chiusi e guardano il respiro che se ne va nella 
galassia. E per rimediare intona uno “mmm” duraturo, che comunque crea 
atmosfera. Peccato che ogni sette – otto secondi รจ costretto a 
riprendere fiato. Ma chissenefrega, siamo un po’ tutti con gli occhi 
verso la galassia.
Camminiamo a una media di 10 e piรน 
chilometri al giorno. Stiamo sulla strada per quasi sette ore e durante i
 passi sono poche le cose da fare: godersi il paesaggio, raccontare la 
tua vita al compagno di camminata. La cosa che preferisco di piรน รจ 
quella di cogliere le more: quelle scure sono ottime, quelle rosse 
acerbe. E poi torno a raccontare i miei fatti al compagno di camminata. 
Poco
 prima di andare a dormire nell’agriturismo “La Quercia di Licari” ci 
hanno raccontato dei due serpenti liberati la mattina nel vicino fiume. 
La notizia potrebbe passare in secondo piano ed essere scavalcata da 
tante altre storie da ricacciare in compagnia. Ma invece crea molte 
preoccupazioni fra noi camminatori. Infatti abbiamo deciso di installare
 le tende sotto un noceto di proprietร  dell’agriturismo. E il noceto 
termina la sua estensione a ridosso degli argini del fiume. E nel fiume 
sono stati liberati i due pitoni, la mattina stessa. Ci guardiamo negli 
occhi in attesa che qualcuno cacci la frase “che vogliamo fare?”, o che 
venga presa una soluzione collettiva. Ma nessuna soluzione viene presa e
 si va verso le tende facendo finta che quei pitoni appartengano alle 
leggende metropolitane che si accavallano nei campeggi. In pochi, forse 
otto fra cui gli organizzatori, ci mettiamo all’interno di un garage, 
aperto verso l’esterno e posto al di sotto dell’agriturismo. ร uno 
spazio inospitale, pieno di scarafaggi e ragni, ma non di pitoni. 
Adesso: il problema รจ quello di creare una barriera anti pitone che 
possa resistere tutta la notte. Mettiamo assieme il nostro ingegno e 
progettiamo un blocco di ingresso fatto di stuoini, zaini e tutto quello
 che possa evitare l’ingresso di animali inospitali. Dopodichรฉ ci 
infiliamo nei sacchi a pelo, schiacciandoci l’uno contro l’altro come 
pinguini. Spegniamo le luci e affidiamo la nostra sicurezza a quella 
barriera costruita qualche minuto prima. La mattina sono il primo a 
svegliarmi, perchรฉ ho necessitร  di andare al bagno. Do un’occhiata 
veloce alla stanza e agli altri inquilini, non ci sono tracce di 
serpenti. Vado al cancelletto d’ingresso e trovo la barriera cosรฌ come 
l’avevamo lasciata la sera precedente, dopo averla progettata nella 
massima luciditร  mentale. Ma ora che รจ giorno, con il mio stato da 
imbecille mattutino, e col maledetto bisogno di bagno, quella barriera รจ
 difficile da smontare. Provo a spostarla ma รจ incastrata. Provo a 
tirarla ma รจ incastrata. Provo con le cattive e anche in questo caso 
l’incastro tiene. Alla fine dopo diverse strattonate apro il cancelletto
 e sveglio qualcuno della stanza. Vado al bagno e una domanda mi 
assilla: ma non รจ che ‘sta storia dei pitoni รจ una leggenda 
metropolitana? 
Ogni mattina dobbiamo rispettare la 
prassi: svegliarci, lavarci, preparare il borsone, portare il borsone al
 furgone. Ad attenderci fuori al furgone ci sono due autisti che per 
tutta la settimana ho considerato gemelli fra loro. Restano in silenzio 
fin quando non rivolgi loro la parola, rispondono in coro alle tue 
domande, non fanno domande. Prendo sempre iniziativa e metto il borsone 
nel pulmino in modo razionale. Lo schiaccio in un angoletto per 
permettere anche agli altri borsoni di disporsi in maniera razionale. Ma
 ogni volta vengo fermato dagli autisti. “Se lo metti cosรฌ non ci 
entrano gli altri”. Al che mi fido e lascio fare a loro. Uno dei due 
prende il mio borsone e lo lancia al centro del vano, gettandolo a caso.
 Poi con uno sguardo fiero si rimette composto e aspetta l’arrivo degli 
altri. Sembrerร  assurdo ma con il loro fare ci entrano tutti i borsoni. 
Per la serie: l’ordine del disordine. 
Castelluccio Superiore, giorno 5
Non
 avevo mai sentito parlare di arte rurale, eppure osservando gli unici 
due esempi sul territorio me ne sono appassionato. Non รจ stupida l’idea 
di recuperare dei vecchi casolari abbandonati con una funzione 
artistica. Ogni parete racconta una storia, che spazia dalla realtร  alla
 leggenda. 
Il penultimo giorno partecipiamo a una lezione
 di psicogeografia. ร un qualcosa difficile da spiegare, che forse 
nemmeno sui dizionari compare. Si tratta di vivere un percorso 
attraverso l’uso di uno dei cinque sensi. Cosรฌ veniamo divisi in gruppi e
 ognuno di noi deve vivere il restante tratto che ci condurrร  a 
Castelluccio Superiore attraverso uno dei cinque sensi. Dobbiamo 
annotare tutto ciรฒ che viviamo. Cosรฌ chi osserva deve raccontare dei 
colori, delle forme, dei paesaggi. Chi ascolta deve annotarsi tutti i 
suoni e i rumori incontrati. Chi usa l’olfatto, come me, deve ricordarsi
 di ciรฒ che ha odorato. A metร  strada l’asina che ci precede, rilascia 
escrementi lungo la via, viziando l’aria. Al che la ragazza davanti a me
 si volta ed esclama: “questa puzza รจ da appuntare!”
Un signore anziano cerca di insegnarci la quadriglia. Si volta ed esclama: “la dama deve essere una libellula”.
L’ultima
 serata la trascorriamo nel borgo di Castelluccio Superiore in compagnia
 dell’Associazione Officine Verdi. Organizzano per noi la serata, 
predisponendo delle tavolate al di fuori di un cortile con del cibo 
offerto. Invitano dei suonatori di organetto, un giornalista dell’Eco di
 Basilicata e infine una associazione che si occupa della gestione della
 biblioteca comunale. Quest’ultima รจ rappresentata da una giovane 
ragazza. Proprio lei mi si avvicina con un foglio, bagnato dalle poche 
gocce di pioggia cadute nella precedente mezzora. Si presenta e mi fa 
una proposta: “ti andrebbe di leggere una poesia?”. Accetto seppur non 
possedendo l’arte dell’interpretazione. Ma non fa niente. Mi parla della
 poesia, di come leggerla e infine dell’autore. “ร un autore 
particolare, famoso per le donne e per l’alcool”. Mi volto e dico: “Ah, 
ma รจ Charles?”. Bukowski lo conosciamo proprio tutti. 
Le falene sono inquietanti quando superano i cinque centimetri di grandezza. 
Tortora, giorno 6
Abbiamo
 dormito in una scuola, in una palestra fra gli attrezzi ginnici, in un 
rifugio, in un garage e infine in uno spogliatoio di un campo di calcio.
 L’unica cosa che conta non รจ dove posizionare il letto, ma avere la 
presa per ricaricare il cellulare.
L’acqua della fontanella quando hai sete, l’acqua della doccia quando vuoi risorgere. 
Il
 tariffario qui fra la Calabria e la Basilicata sembra essersi arrestato
 anni fa. Un caffรจ lo paghi dai 70 agli 80 centesimi, una Coca Cola al 
tavolo 1€, un cornetto 0.80€, una bottiglietta d’acqua 0.50€… e le 
banconote alte restano in tasca!
Prima di partire avevo 
dei pregiudizi sulla cucina vegana. Una volta rientrato ho pregiudizi 
sui vegani, ma solo quelli fissati che ti guardano male se parli di 
carne e formaggi. 
 

 
 
		 
 
 
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