Alla scoperta delle valli dell'Alto Adige

L'Alto Adige ha una cultura parallela a quella italiana: lingua tedesca con i suoi dialetti, tradizioni e folklore del tutto singolari, ma soprattutto un'atmosfera unica nel suo genere. Bolzano è una città di confine, le valli mantengono la propria identità.


LA VAL SARENTINO

A venti minuti di automobile dal centro di Bolzano, sorge la Val Sarentino, un territorio alto atesino che sembra non aver subito flusso del cambiamento dettato dal tempo. Che vive nel suo passato, nelle sue tradizioni, nella sua cultura. È collegata al mondo con una strada panoramica e fatta di gallerie e strettoie, che tange i vari castelli distribuiti nei dintorni di Bolzano, alcuni in ottime condizioni - come il Castello Roncolo - altri diroccati.

Non ha una piazza centrale e le abitazioni sono disposte su gradoni che seguono il declivio della valle. Le più nobili sono il più delle volte le più antiche e possiedono delle muratura in pietra molto spesse, sopraelevate da del legno scuro. Affianco loro palazzine contemporanee in stile, dalle ampie vetrate e dagli elementi architettonici tipici della tradizione tirolese. Non ci sono molte attività commerciali e se cerchi un “negozio del mondo”, puoi anche tornare indietro: nessuna birreria Paulaner, nessun Bar Illy, nessun negozio Zara o H&M. Solo attività del territorio, figlie del genio creativo locale, prodotte con cura artigianale, tramandata da generazioni. Dal bivio la sosta obbligatoria è nella Rohrerhaus, un antichissimo maso trasformato in museo, che conserva intatto il suo stile. Alt, facciamo un passo indietro. Cos’è un maso? È un’abitazione rurale alto-atesina, non avente uno stile unico ma presentando una varietà di forme e composizioni La divisione interna degli spazi permette la coesistenza fra la vita contadina (stalle, animali, rimesse) e la routine quotidiana (cucina, tinello, camere da letto).  




Alla scoperta dell'abitazione tipica

Rohrerhaus. La prima citazione di questo maso risale [addirittura] al 1288, quando venne citata la proprietà in un elenco di tassazioni. Ma non siamo sicuri sull’edificazione: le mura più antiche sembrano risalire al 1325, 37 anni dopo il documento rinvenuto. Si mostra in stile gotico nel piano inferiore, con murature spesse (circa 1 metro). Fu ritoccato nel 1703, quando si sopraelevò il tutto aggiungendo la parte in legno. 
Al pian terreno, sotto un arco in pietra, è ricavato il forno per la cottura del pane. Viene ancora oggi utilizzato, seguendo la tradizione storica: cuocere il pane 3, massimo 4 volte l’anno, per risparmiare il grano. Meno pane si aveva è più era necessario conservarlo. Più pane si produceva e meno si conservava. Un paradosso che ci delinea quanto lo spreco di grano non fosse concesso.

Il grano era conservato nelle cantine, assieme al vino in botte. Questi spazi, stretti e freschi, sono rimasti intatti come erano. Le cantine hanno anche una specie di tinello, con tavolata posta nelle vicinanze delle botti. Una botola nascosta teneva al sicuro il grano. Fra l’ingresso alla cantina e la scala che conduce nella Rohrerhaus, è stata posta una pietra dall’aspetto singolare. È un grande masso regolare, con tre buchi scavati al suo interno, all’apparenza naturali. In realtà è un masso tipico della tradizione pagana. Serviva per scacciare le streghe e le creature demoniache che il folklore aveva creato e quei buchi contenevano con probabilità delle erbe, forse pali. Non lo sapremo mai, ma è bello l’indagare su queste credenze pagane adottate successivamente anche dalla tradizione cristiana. Insomma, a partire dal VIII secolo il pensiero religioso cambia, ma non nelle credenze. La cultura pagana è ancora presente nella Val Sarentino, camuffata in simboli cristiani e in usanze. A breve riporterò degli esempi.

Salendo nella Rohererhaus ci si trova davanti a una celletta composta da assi di legno disposti orizzontalmente: è una vecchia cella frigorifera, utilizzata per lo più durante l’inverno. In estate restava fuori uso in quanto il sole era eccessivo. Al fianco della porta d’accesso un crocifisso ligneo ci ricorda – ancora una volta – la dedizione della valle alla religione. Entrando si viene immessi in una stanza cuscinetto, composta da cassapanche. Smista da un lato verso la cucina e dall’altra al tinello. La cucina è rimasta quasi del tutto fedele all’originale (se non fosse per l’elettricità e per l’allaccio alla rete idrica avvenuto solo nel 1990) e possiede mobili della tradizione contadina. Lo stesso vale per il tinello, formato da una cassapanca che corre lungo tutto il perimetro.

Ci sono tre tavoli quadrati e uno rettangolare, nascosto nella parete e usufruibile in caso di sovraffollamento della stanza. Le pareti ospitano quadretti di famiglia e icone sacre, nonché delle stoviglie appese: quelle esposte sono autentiche e testimoniano il mangiare del tempo. Non venivano mai lavate, ma pulite sulla tovaglia, per poi essere riappese sulla parete. Dalla parete si stacca una stufa tirolese, con ingombro nel tinello e bocca sulla cucina: veniva lasciata accesa e i suoi fumi contribuivano ad affumicare salumi e prosciutti, fra cui lo speck. Gli stessi fumi danneggiavano polmoni e le donne, che passavano parte della giornata in cucina, avevano una vita media inferiore rispetto a quella dell’uomo. Dal tinello si arriva alla stanza da letto nobiliare. Questa della Rohrerhaus è una stanza ricca, composta da mobili in legno dipinto, con simboli cristiani e altri pagani. Il letto era stretto e soprattutto corto, sia perché la statura dei secoli scorsi era diversa da quella attuale, sia perché non si dormiva allungati ma coricati: gli unici sdraiati nel letto erano i defunti. Una porticina conduce al bagno a caduta, antica forma di water con canale per l’espulsione dei liquami. Le restanti stanze erano destinate al resto della famiglia e alla servitù. Pensate, a volte i servi dormivano in tre nello stesso letto. 





Nella Rohrerhaus si può trascorrere una delle esperienze più belle dell’Alto Adige: passare alcune ore con dei contadini della valle, vestiti con abiti tradizionali della Val Sarentino. Nel mio soggiorno ho pranzato con sei anziani del luogo, intenti a svolgere azioni di vita quotidiana: due cucinano pietanze tirolesi, altri intagliano il legno e lavorano il ferro. Uno di loro non parla l’italiano, seppur nella sua carta di identità sia un cittadino italiano. La cosa non sorprende: il Sudtirol vive in una sua identità culturale, che non è né italiana, né tedesca, né austriaca, ma per l’appunto sudtirolese. Abbiamo avuto modo di comunicare con loro, di farci raccontare la vita nella valle. Gli uomini vestono con abiti tradizionali, fra cui la cintura e le bretelle in cuoio. Le donne con abiti tirolesi e l’immancabile treccia (a volte finta) in testa. Ci viene servito dello speck affumicato, accompagnato da salami e da pecorino. Il pane è in due varianti: semplice e speziato, molto simile a una focaccia. Come primo ci vengono serviti dei canederli in brodo con crauti, per dolce delle paste ripiene di marmellata di papavero. ­­­

La principale fonte economica della valle: l'artigianato

Ma la Val Sarentino è anche sinonimo di qualità, soprattutto nella produzione artigianale. Le principali attività si sono unite sotto un unico gruppo: il Sarner Gschick. Rappresenta la tradizione del territorio fatta di tecniche di produzione antiche, con materiali del tutto naturali, e un talento di pezzi unici.
Opere d’arte in cuoio. A cento metri dal maso, in via Rohrerstrasse, si trova un’azienda artigianale a conduzione famigliare famosa in tutto il Sudtirol: Thaler. La tradizione del cuoio è una pratica antica, importata in Val Sarentino dal nonno dell’attuale proprietario. Una pratica da certosini e molto redditizia. Dal cuoio ottenuto dai pellami di bovini e dai fili ricavati da penne di pavone, si realizzano cinture, bretelle, scarpe e portafogli di alta qualità. Ma andiamo con ordine e vediamo le fasi di lavorazione di un oggetto di pelletteria che esce da qui:

- Fase 1: le pelli vengono lavorate e intagliate a seconda della forma desiderata. 
- Fase 2: le penne di pavone, in media dalle 60 alle 70 per animale, con lunghezza dai 70 ai 140 cm, vengono lavorate manualmente. Attraverso una postazione studiata per migliorare il rendimento, si divide la penna di pavone a metà, aiutandosi con un filo teso. Dividendo la penna in più frangenti si arrivano a ottenere 8 fili di pavone molto sottili. I filamenti vengono uniti e vanno a costituire un unico rotolo. 
- Fase 3: si incide il disegno sul pellame, senza curarne il dettaglio. 
- Fase 4: si riempie il disegno con il filo di pavone.

Ogni disegno richiede molti giorni di lavoro, a volte anni. La cintura, per esempio, è quella che comporta una maggiore lavorazione: uno, due, dieci mesi. Ma anche anni, con prezzi ponderati e il più delle volte proibitivi. Per una cintura e una bretella si viaggia sui 5000€, per un portafoglio si spendono anche 300€. La lavorazione maniacale e la cura del dettaglio giustificano il costo. Dal laboratorio escono delle opere d’arte e non dei semplici prodotti di pelletteria. In più ogni lavoro è diverso dall’altro, per via di scelte dell’acquirente. Insomma pezzi unici e su misura. Una cintura del genere può durare secoli e rappresenta un elemento tipico che ogni abitante della Val Sarentino deve possedere: chi vive qui, e decide di restarvi, deve avere il suo completo di riferimento, da esporre con fierezza. 




 


La tornitura per plasmare l’arte. Il panorama è quello che ti lascia senza parole: un piccolo rio che corre fra le montagne e si immette nella valle, una staccionata in legno con un viale battuto e due abitazioni collegate da una tettoia. Siamo nell’azienda di Fritz Unterkalmsteiner, un tornitore che ha saputo trasformare il suo laboratorio in un piccolo museo di questo mestiere.

Al di fuori della staccionata colpiscono i tanti fusti di albero tagliati e lasciati in attesa di lavorazione. Ingombrano la stradina di accesso e hanno una tonalità molto chiara di legno, sono quasi certamente cirmoli. Da qui comincia la nostra visita, che si alternerà in postazioni divulgative ricavate sotto piccole tettoie. Una Via Crucis del mestiere.

Partiamo dal presupposto che il Sudtirol ha 13000 ettari di bosco ed è il territorio provinciale con maggiore estensione. Nei pressi della Val Sarentino, verso il corno del Matterhorn – da cui è possibile vedere la punta del lago di Garda, a 1200 metri sul livello del mare cresce la pianta del cirmolo (o pino cembro). Fa parte della famiglia dei pini, ha dei frutti simili a delle nocciole – da cui si ricava un distillato e una marmellata – ed è molto utile per il contenimento delle valanghe. È molto caldo e ha delle proprietà curative: rallenta il battito del cuore e permette un miglior sonno, protegge da insetti e tarme, aumenta il senso di benessere. Negli ultimi 10 anni ha avuto un incremento della richiesta, soprattutto nell’arredamento delle camere da letto.

Molti dei cirmoli tagliati in natura sono morti. Tutto avviene per colpa del cervo, che durante la stagione della caduta delle corna va a impattare sulla crosta dell’albero, danneggiandola. Da quei buchi entrano le formiche che lentamente divorano il contenuto. Molti di questi alberi sono pertanto vuoti, seppur la corteccia esterna è intatta. 



Entrando in azienda viene mostrata la sezione di un albero di cirmolo. Si notano i tanti strati di crosta che stanno anche a indicare gli anni della pianta. Nella parte centrale, quella più antica, l’albero ha strati molto maggiori, in quanto era ancora giovane e cresceva più velocemente. Nella parte finale gli strati sono sempre più sottili e poco evidenti [Ho tirato a indovinare: la sezione mostrata avrà a occhio e croce 100 anni! E in realtà ne aveva 350]. La parte scura del tronco, che il più delle volte è visibile in oggetti in legno, è il nodo: si tratta di una vecchia punta dell’albero, che successivamente è stata inglobata dalla pianta. La lavorazione del nodo è complicata e rischia di spaccare il manufatto. Per questo viene il più delle volte rimosso.

Fritz Unterkalmsteiner non è solo un tornitore esperto, ma anche un designer. Nella sua scaffalatura sono presenti oggetti plasmati con le sue mani, fra cui lampadari, giocattoli e vasellami. Ma soprattutto uno sgabello, realizzato con il solo legno e ecocompatibile al 100%. Un’idea esposta durante l’Expo 2015. Il suo laboratorio è un alternarsi di arnesi per la lavorazione e trucioli di cirmolo: si respira quell’odore rilassante emanato dal legno. Ci viene fatta vivere una delle esperienze più interessanti: lavorare assieme al tornitore un pezzo di legno. Il tornitore prende una sezione di pianta, la avvita su un macchinario che la fa girare. Durante la rotazione del legno utilizza gli strumenti per la lavorazione. In poco tempo ecco un piatto. La seconda fase viene affidata a me e con uno strumento rovente disegno un motivo sulla superficie del piatto. Divertente! 



Tessitura di alta qualità. Nella Val Sarentino ci sono molti campi destinati al pascolo e le pecore costituiscono una grande fonte economica del territorio. Gli allevatori tosano gli animali, raccogliendo la lana in sacchi in cartone. 1/3 dell’intera lana viene condotta nel laboratorio di tessitura a mano Unterweger. Nacque del 1968 e la conduzione famigliare dura fino a oggi.

L’azienda è divisa in due parti: una prima ospita il negozio, l’altra il laboratorio. Nel laboratorio si lavorano le lane grezze comperate dagli allevatori, che vengono divise per colore. Solitamente sono tre i colori principali, con le varie sfumature: bianco, nero, marroncino. I vari macchinari permettono lavare e di trasformare la lana grezza in rotoli. Da lì una sarta trasforma i rotoli in manufatti: maglioni, asciugamani, pantofole, lenzuola, venduti nel negozio. Un vecchio telaio incuriosisce i clienti: è del secolo scorso e viene usato per la lavorazione delle lane più sottili. 






LA VAL GARDENA

Uno dei centri pulsanti dell’Alto Adige è la Val Gardena, situata a pochi chilometri da Bolzano. Il territorio, conosciuto quasi esclusivamente per il suo turismo attivo stagionale, con comprensori sciistici e percorsi per il trekking, possiede una particolarità: è dedito alla lavorazione del legno. Opere d’arti che nascono dal genio dell’uomo e dalla ricca presenza del legno. 

 
Arrivando a Ortisei, il maggior comune della Valle, si resta colpiti dalle tante attività commerciali che espongono sculture lignee. Nel solo tratto di strada statale si contano molte vetrine con opere di ogni genere e fattura, dalle dimensioni molto grandi, alle volte fuori scala.

Già da quei primi chilometri di strada si preannuncia la propensione alla lavorazione del legno, il più delle volte di cirmolo. Come riportato in un precedente articolo, il pino cembro, meglio noto per l’appunto col nome di cirmolo, è molto facile da modellare e da reperire. Ma non solo: possiede delle proprietà terapeutiche che lo rendono richiesto sul mercato.

Nel museo delle opere lignee: Unika. Per osservare le migliori sculture occorre spostarsi presso il centro Unika che da oltre vent’anni raduna scultori. Affida loro spazi per l’apprendimento, la lavorazione, l’esposizione e il maestro diventa il collega dell’allievo. Tutto viene messo in un gran salone, dove l’opera viene venduta (cifre alte) e il ricavato arricchisce lo scultore e in parte il centro espositivo. Le statue sono di diverso stile, classico, accademico e sperimentale. Nulla è uguale al resto: tutto è unico.

Ci accoglie l’unico pittore, Christian Stl. Ci guida nelle stanze espositive e ci mette in contatto con uno scultore locale. Ci spiega come nasce il progetto Unika e quanto la lavorazione del legno sia una tradizione ancorata da secoli in Val Gardena.

Ci spostiamo presso la bottega dello scultore Demetz Lorenz, a pochi chilometri dal paese. La particolarità della sua abitazione sta nel trovarsi all’interno della pista sciistica Furnes – Seceda. Per entrare nel viale di casa occorre attraversare la pista, prestando la massima attenzione. 


Nella bottega dello scultore. È ricavata al pian terreno della sua abitazione. È di modeste dimensioni, rese ancor più strette dalle tante sculture sparse alla rinfusa nello spazio. Un caos che non disturba, anzi: arricchisce l’ambiente rendendolo vivo. Nulla è disposto secondo un senso logico ed ecco perché sulla scaffalatura nella sinistra della sala non colpisce vedere un’icona sacra al fianco di un busto di una donna seminuda. Come scrisse il buon De André “le porta a spasso [..] l’amore sacro e l’amor profano”. 
La bottega di Demetz Lorenz

Se sulla sinistra si accalcano statue in legno di varie forme e dimensioni, sulla destra è la finestra la protagonista. Guarda verso le montagne circostanti e con il suo nastro illumina l’ambiente e donandogli luce. Le stesse statue posizionate al centro dello studio appaiono più chiare e il gioco luce-ombra delinea dei particolari non visibili in altre circostanze. 


Nella sala tre statue attirano l’attenzione. La prima raffigura il San Floriano ed è alta un paio di metri. Il protagonista tiene fra le mani una lancia e ha ai suoi piedi una città che sta ardendo fra le fiamme. Non è un caso: è il santo protettore dei pompieri. La seconda statua è – ancora una volta – sacra. Raffigura un altro santo (sinceramente non ricordo quale) ed è la copia esatta di una statua molto più antica, a cui si sono spaccate le mani e il naso. La riproduzione servirà per mandare “in pensione” l’altra statua e proteggerla dalle intemperie del tempo. E infine c’è il busto di un bambino di pochi mesi, commissionato da una famiglia altoatesina. È una tradizione farsi raffigurare sul legno e per farlo si è disposti a spendere somme molto alte


Demetz ci mette alla prova. Prende i suoi attrezzi e ci spiega come martellare il legno. Battiamo il primo colpo, poi il secondo e invece di dare una nuova forma al legno finiamo col rovinarlo.

Una volta sfogata la nostra (mancata) abilità, ci spostiamo nella vicina baita Val d’Anna. Sediamo in un tavolo riservato e ci godiamo la vista sulla pista da sci. Ordino un piatto di ravioli del luogo e termino il pasto con un amaro a base di sambuco. L’ultima cosa che mi sorprende di questa mattinata in Val Gardena è il ritrovarmi una statua di Demetz all’ingresso del bagno: raffigura una donna, seminuda, con un jeans.



Scritto: Aprile 2016
Ultima Modifica: Gennaio 2018

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