Sorrento, la perla del Tirreno che ha ispirato grandi musicisti
Le note sono quelle di Ernesto De Curtis, compositore
napoletano dei primi anni del novecento. Meglio evitare inutili remake come
quello di Pitbull. “Vide ‘o mare quant’è bello” ponendosi su una delle tante
terrazze della città , magari su quella del Grand Hotel Excelsior Vittoria, reso
celebre dalla storia di Caruso che in una delle sue stanze, a ridosso di un
pianoforte, si sarebbe sentito male e fatale gli fu quel momento. Nella stessa
stanza il nome Caruso tornò a rivivere, molti anni dopo, sottoforma di una
canzone lirica, composta sullo stesso pianoforte da un esperto Lucio Dalla, che
si staccava dalla carriera precedente cominciando a sperimentarne una più
classica. La storia racconta che il cantautore bolognese abbia attraccato al
porto di Sorrento con la sua imbarcazione. Sia salito verso il centro della
città e abbia affittato la suite dedicata al tenore Caruso. In quella stessa
notte compose la celeberrima canzone. “Qui dove il mare luccica e tira forte il
vento”, già , perché la città si affaccia sul freddo Tirreno e le continue
raffiche di vento scompongono i capelli e fanno svolazzare le gonne.
Le due canzoni trattano un tema comune: l’amore ambientato
in questo paradiso campano. Ma perché Sorrento viene immediatamente collegato
al tema dell’amore? Forse per la meraviglia dei suoi luoghi, adatti per storie
idilliache e travagliate. O forse per quello spirito napoletano, di quella
musica che con il suo dialetto riesce a dipingere contesti passionali.
Lo stile è quello Mediterraneo con un tocco di colore.
Abitazioni dai colori pastello che sfumano dall’alto verso il basso, dal cielo
al mare. Una città di una grande e silenziosa arte, la meta di importanti
figure della storia, che hanno scelto le sue vie e le sue ville per trascorrere
interi soggiorni italiani o più semplicemente alloggiando durante un Grand Tour
europeo. Uno su tutti il danese Ibsen. Quel turismo rivive ancora oggi. Di
certo non paragonabile ad una Capri, tuttavia assieme all’asse Positano –
Amalfi, traccia un filo conduttore che spinge il visitatore a divorare le tre
città assieme. Differenzia per il suo rapporto con il mare e l’entroterra; una
navigazione storica oscurata dalla vicina repubblica marinara di Amalfi,
tuttavia concentrata sulle imbarcazioni turistiche e sui trasporti via mare
molto più veloci rispetto alla statale 163, della costiera amalfitana. Magari
le imbarcazioni conducono anche sino alla vicina Napoli, ben visibile sullo
sfondo, dominata dalla imponente figura del Vesuvio.
È possibile visitare le vie cittadine a piedi, o tramite un
simpatico trenino. Vengono rilasciate delle cuffie ed è si ascoltare la
descrizione dei luoghi stando seduti tranquillamente su un posto scomodo. Parte
dalla piazza principale della città , si snoda sul belvedere e fra le ville più
importanti. A piedi è diverso. Visitando le piccole vie invase da bancarelle di
vestiario. I capi della zona sono famosi e per questo molte signore,
soprattutto di una certa età , stravolgono stand alla ricerca di un abito
fiorato adatto alle loro forme, con il commerciante che le controlla con occhio
comunque soddisfatto. Alla fine tutti comprano. Di gran gusto, per palati fini,
la tipica granita della zona, che non si discosta più di tanto da quella
siciliana. Il gusto forte è al limone, derivante dalle tante culture della
zona. Per l’appunto il limone di Sorrento, tra i più famosi della penisola
italiana e in competizione con altra frutta mondiale. Conviene comprarlo dai
contadini che si pongono sui bordi della strada con le loro vecchie automobili.
Di sicuro sono meno trattati e commerciali rispetto a quelli da supermercato,
già imbustati e privi di un loro fascino.
Castle Ruins |
La città riserva sorprese. Una su tutte la si scorge dalla
piazza principale, in un punto morto per gli spostamenti pedonali e vivo per
quelli automobilistici. Da una terrazza, verso l’entroterra, si scorge la
presenza di una abitazione ridotta a rudere, che sembra riemergere dalle acque
di un pozzo. È sovrastata dalle piantagioni quali l’edera, che gli donano un
tocco di sublime, forse quello descritto tanti secoli fa da William Blake. È il
Castle Ruins.
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