Parigi, storie della Montmartre di oggi
Un percorso di un chilometro che va da Rue de Steinkerque (stazione di Anvèrs) fino alla stazione metropolitana di Pigalle. Alla ricerca della vera identità di Montmartre, delle sue storie e dei suoi personaggi. Ho raccolto quindici piccole storie vissute in prima persona con i loro protagonisti e vizi.
1. Il tratto che va
dalla stazione metropolitana di Anvérs verso il Sacro Cuore è una via con
negozi di souvenir. Queste attività commerciali sono specializzate nella
vendita di oggettistica di basso valore e hanno sostituito le vecchie botteghe
artistiche. Era qui che trovavi le tele esposte in vetrina, appartenenti anche
a famosi autori. Oggi di artistico rimane il volto della gioconda, su un
grembiule da cucina. I gestori non sono francesi bensì provengono da paesi come
il Pakistan. In Italia siamo abituati a vederli con un altro grembiule mentre
ti servono un kebab. A Parigi hanno trovato il modo per diventare commercianti.
2. Conto dodici
banchetti in legno in mezzo alla via. Sembrano quelli che ritrovi nel garage di
casa tua, utilizzati in una singola occasione e lasciati morire dietro uno
scatolone. A Montmartre sono stati aperti e rivestiti con un tovaglie bianche o
scatoloni strappati. Sono circondati da persone, almeno sei per tavolo.
Appartengono alla stessa etnia, vestono con un cappotto largo, dei jeans e
scarpe da tennis vecchie. Hanno sopra i cinquant’anni e sono composti da un
abile manipolatore di carte e dalla sua finta platea. Le tre carte sono un
rischio per i turisti. Inizialmente vedi girare pezzi verdi a favore dello
scommettitore e la facilità di indovinare ti porta a rischiare. Parti dai 20€ e
vinci. Poi 50€ e perdi. Tenti di recuperarli e perdi ancora. Quando il gioco è
semplice vuol dire che stanno scommettendo i complici. Quanto è difficile
significa che la vacanza di un ignaro turista è stata rovinata.
3. La giostra di
Amelie è sotto il parco del Sacro Cuore. Non ci vanno solo i bambini, ma anche
gli adulti. Forse per dire di essere stati in quel pezzo di Parigi famoso
grazie al film. Appena entri nella recinzione, ti accorgi della presenza di
ragazzi di colore sulla ventina che se ne stanno ognuno per i fatti suoi dando
le spalle alla chiesa. Sembrano manichini di un centro commerciale da schivare.
Fissano il vuoto e hanno le mani in tasca. In realtà non appena ti avvicini a
loro, ti fermano e ti fanno delle domande. Uno mi mette le mani addosso e tenta
di farmi ammettere di essere italiano. Gli rispondo in inglese e lo scanso. Non
saprò mai cosa volesse, mi ha messo paura.
4. L’accesso alla funicolare
è controllata da un contatore digitale che segnala il numero massimo delle
persone ammesse. La fila arriva a ridosso delle scale, per fortuna abbiamo
l’abbonamento metropolitano e possiamo usufruire anche di questo servizio.
Alcuni invece sono costretti a pagare 1,70€ per evitare l’ascesa con centinaia
di scalini. I furbi sono tanti: sono gente locale ma anche signore di una certa
età turiste. Scavalcano il tornello, alle volte goffamente, e pretendono di
salire. L’addetto alla sicurezza, ben protetto dentro la guardiola, non
rimprovera nessuno e fa anche finta di non vedere niente. La pensa un po’ come
tutti noi, meglio farsi i fatti propri onde evitare guai.
5. Una firma a
favore dei ciechi. È la scusa adottata da ragazze dell’Europa dell’est per racimolare
monete (o forse anche più). Fanno leva sulla sensibilità delle persone per
ricevere offerte di denaro. Si affiancano nell’esatto momento in cui stai
scattando una fotografia al Sacro Cuore. Con fare sospetto invadono il tuo
spazio vitale e cominciano a bussarti sulla spalla. Porgono fra le tue braccia
un raccoglitore ad anelli con tanto di penna al seguito. Naturalmente le
scansi, ma tutte quelle firme raccolte sul finto registro ti lasciano
perplesso.
6. L’ingresso alla
Basilica del Sacro Cuore è molto stretto. Hanno unito i flussi di entrata con
quelli di uscita. Lasciando da parte gli spintoni, la prima esclamazione è
dedicata alla architettura della chiesa. La seconda recita “ca**o, non si
possono fare le foto”. Già. Appena oltrepassi il cartello che vieta gli scatti,
entri in una dimensione controllata da body guard, che fanno invidia alle
discoteche. Sono in giacca e cravatta, alcuni hanno l’occhiale da sole poggiato
in fronte, con auricolare e ricetrasmittente. Provi ad estrarre la macchinetta
fotografica l’addetto all’ordine ti invita a toglierla. La sollevi ad un
altezza consona per scattare la fotografia e l’addetto ti minaccia di
sequestro. Pretende di vedere le foto scattate e se ne trova una con l’interno
della Basilica te la fa rimuovere. Per la serie comprate le cartoline nel
bookshop dentro la chiesa.
7. Che bello quando
una persona che ha subito un forte handicap trova la ragione o la forza di
andare avanti. Appena fuori le cancellate del Sacro Cuore, un vecchio sopra la
sedia a rotelle prepara dei simpatici cavalli in stoffa davanti ai tuoi occhi.
Incastra tre fili colorati, attorcigliati su astine di ferro e alla fine
inserisce l’anello porta chiave riponendo la creazione nella scatola. In cinque
minuti ne ha preparati una decina. Con un paio di euro comperi un simpatico
oggetto e fai felice un uomo che la vita è costretto a vederla da una posizione
diversa dalla tua.
8. I libri e le
riviste ci hanno insegnato che a Montmartre ci sono gli artisti di strada. È
vero. Li immaginavo completamente diversi: di una certa età, chini, poveri,
stravaganti, col cappellino da pittore, tavolozza e treppiedi. Nella realtà sono completamente
diversi. Sono dei piccoli imprenditori ed investono su una matita per
guadagnare da vivere. Sono più bravi a fare i conti che a disegnare. Fa strano
vedere che non sei tu a cercare loro ma sono loro a desiderarti. Non appena ti
vedono entrare nella via ti inseguono e ti invitano a metterti in posa. Se stai
al gioco ti illustrano le tariffe (guarda caso si parte sempre dai venti euro).
Uno di loro fa i complimenti al mio riccio, spiccicando qualche parola in
italiano con la “r” moscia.
La loro sedia è il marciapiede, la tela è in realtà un foglio di un album. Partono dal viso, proseguono col capello. A disegno incompleto ti illustrano il lavoro; per continuare è necessario cacciare altro denaro. Se tutto va bene con una cinquantina di euro ti porti a casa un ritratto a matita dettagliato.
La loro sedia è il marciapiede, la tela è in realtà un foglio di un album. Partono dal viso, proseguono col capello. A disegno incompleto ti illustrano il lavoro; per continuare è necessario cacciare altro denaro. Se tutto va bene con una cinquantina di euro ti porti a casa un ritratto a matita dettagliato.
9. Le crépes sono
deliziose. Le vendono in tutti i bistrot lungo la via e alla fine anche io ne
ho comprata una. Mi è costata 3,50€, ne è valsa la pena. A prepararla e
servirla una giovane ragazza grassottella, biondina dal viso che non fa pensare
ad una francese. In pochi secondi ha trasformato l’uovo in una sfoglia sottile.
La piastra ha annerito la parte sottostante preparando la crépes alla
spalmatura. Viene colata la Nutella (ne mettono poca) e in seguito delle
scaglie di cocco. Me la serve dentro un fazzoletto di carta. Quante ne
preparerà al giorno? Da quando ho ordinato la mia ne ha messe sulla piastra
altre due. E alle mie spalle una comitiva di giapponesi aspetta il proprio
turno. Forse è un robot che compie le stesse mosse per otto ore al giorno,
inalando gli stessi aromi e magari avrà anche imparato ad odiare la Nutella.
10. Esiste una Montmartre
senza i turisti? È un po’ come le grandi città: durante le ore più calde della
giornata, flussi di turisti invadono le vie. Al richiamo della guida turistica,
che è armata di un singolo ombrellino giallo, ricordano pecore al pascolo che
vanno alla ricerca del loro prato verde. I monumenti sono la loro ricarica, per
arrivarci soffrono dolori alle gambe e gonfiori ai piedi. Capita anche che si
perdano fra le delizie dolciarie esposte nel bancone, oppure trovano un capo
firmato a buon prezzo e decidono di provarselo, giusto per togliersi una
soddisfazione. Sembra impossibile immaginare questo quartiere senza la figura
chiassosa del turista. Eppure esiste una Montmartre alternativa: quella della
mezzanotte. Ci aveva provato Woody Allen col suo film “Midnight in Paris” a
descrivere l’atmosfera surreale del quartiere di notte. Immaginava che gli
spiriti di uomini illustri degli anni venti e della belle Epoque, tornassero in
vita. Ed infatti la notte si respira tutta un’altra aria. Le vie sono deserte e
sembrano tornate indietro nel tempo. Vengono illuminate dagli stessi
ristorantini, o da un lampione a luce bianca posto all’incrocio fra le strade.
Riesci a cogliere tutti i particolari trascurati nella mattina precedente, per
esempio una targa ricorda che il pittore Utrillo amava cenare assieme a sua
madre nel locale all’angolo; oppure che il cabaret veniva frequentato
assiduamente da Picasso. Cogli la Parigi notturna, che si estende davanti alla
facciata del Sacro Cuore per chissà quanti chilometri. Le luci della notte
vanno verso l’orizzonte e in quel momento capisci quanto il mondo possa essere
ancor più grande di quello che pensi. Anche la Torre Eiffel è illuminata, la
scorgi coni ottici fra le palazzine ottocentesche. Ogni qual volta la vedi, una
forte emozione ti avvolge. È come se in quel momento sentissi un forte calore
che scalda la tua gelida serata francese. Un sorriso si spalanca sul viso, sei
contento.
11. Due ragazzi
vicino ai cassonetti della spazzatura se la ridono a crepapelle. Hanno fra le
mani un grande baule in legno, che sembra antico. Lo poggiano in corrispondenza
dei sacchetti e lo aprono. È vuoto. Con il sorriso ancora sul volto alzano il
coperchio del cassonetto e vi si immergono con le braccia e la testa.
Estraggono tanti di quei libri da riempire una piccola biblioteca. Li adagiano
dentro al baule nella posizione più comoda per farne entrare il più possibile,
e se ne rivanno, ancora ridendo, con un baule pieno trasportato a due mani.
Quel cassonetto attira anche la mia attenzione. Mi guardo attorno, con la paura
che un terzo complice di quei ragazzi, stia controllando la scena. Vado verso
il cassonetto e sollevando l’anta scopro libri a volontà, per lo più vecchi. Me
ne porto con me un paio, riflettendo sul fatto che il loro peso possa crearmi
non pochi problemi col bagaglio a mano Ryanair. Uno è degli anni venti e
custodisce delle firme e dei registri appartenuti a uno sconosciuto signore
oramai morto. Il secondo è un volume degli anni ottanta, con copertina raffigurante un uomo ben vestito
sul sidecar, scelto solo per la grafica. Ancora scombussolato dalla situazione,
abbandono quell’angolo in cui la storia è stata gettata. Quei due ragazzi, con
la loro mira economica, sono stati il sottile filo conduttore che ha permesso a
delle testimonianze scritte su carta di poter essere tramandate ai posteri.
12. Una piccola bottega di un’artista illumina la strada e attira la mia attenzione. Deve essere un amante dei gatti, dato che i suoi soggetti sono sempre gli stessi. Mi prometto di ripassarci. La mattina seguente è ancora lì, a dipingere sopra una fotografia. Non si degna di gettare lo sguardo verso la strada, verso tutte quelle persone che si stanno interessando all’opera. Sembra fiero di se stesso, il sentirsi osservato rende ancora più solenne il passaggio del pennello sulla tela. È anziano, ma finché ci saranno i gatti sulla terra, lui avrà una motivazione in più per restare in vita.
13. Tutti visitano il Moulin Rouge; nessuno il Moulin de la Galette. Sono simili fra loro, eppure uno affascina l’altro no. Ho avuto modo di conoscere questo locale parigino grazie al quadro di Renoir, tantoché ho previsto nel mio percorso di visita la sosta obbligatoria nella struttura. Durante le ore diurne ne cogli il dettaglio, nelle ore notturne l’aspetto romantico. Le vetrine di piccoli bistrot si affacciano verso il mulino e ognuno possiede una atmosfera propria, di quelle che sogni la notte e che magari riconosci in un luogo. Davanti uno di questi, con lo sguardo rivolto nel nulla, un giovane ragazzo vestito da facchino, o da guardia, rimane ritto con le braccia raccolte dietro la schiena. Ha le orecchie scoperte e il cappello da gendarme sulla testa. Si lascia fotografare senza mai lamentarsi, ricordandomi le guardie della Regina con la loro divisa rossa. Non so a cosa stia pensando, magari mi starà odiando. Mi sento in soggezione a scattare le foto al mulino mentre invado il suo spazio vitale, posso solo immaginare il freddo e la stanchezza che sta patendo. Ma alla fine chi se ne importa. Anche lui, un giorno, se ne andrà in vacanza e magari scatterà una fotografia a quelle simpatiche guardie inglesi.
14. “Il favoloso
mondo di Amelie” è uno dei miei film preferiti. Per questo motivo ho deciso di
visitare il “Café de 2 Moulins” uno dei tanti set scelti dal regista. Entrando
ero consapevole del costo eccessivo del locale, anche perché un caffè al tavolo
costava 4€. Mi sono seduto al bancone, fra le fotografie di Audrey Tautou. Ho
ordinato una cioccolata calda e ho rivissuto le scene del film. Non è stato
facile, anche perché il locale è in parte cambiato. Per alcuni secondi mi sono
seduto in quella che nel film era la postazione dello stalker, che attraverso
un registratore descriveva con gelosia la cameriera e la tabaccaia. Nessuna
figura femminile, solo due ragazzi sulla trentina a preparare cocktail
freneticamente. Il set del film è una cosa assai diversa dalla realtà.
15. Avete fatto caso
che il Moulin Rouge viene fotografato sempre nella stessa angolazione? Per via
del traffico cittadino, che costringe a mettersi sul tratto di strada pedonale
fronteggiante la facciata del locale. La particolarità sta nel fatto che sia
presente una presa d’aria della metropolitana messa in sicurezza attraverso una
grata. Quando ci si pone al di sopra di essa, i propri vestiti cominciano a
svolazzare, così come i capelli. Sembra di rivivere la famosa scena di Marylin
Monroe mentre si abbassa la gonna bianca. Ed è un po’ quello che fanno tutti. È
diventata l’attrazione nell’attrazione. Delle ragazze mi invadono la visuale
durante la mia fotografia, godendosi quell’attimo di gagliardia. In seguito
anche io faccio lo stesso divertendomi come uno scemo. Se tornerò a Parigi non
so se ripasserò al Moulin Rouge; se lo dovessi fare scatterò l’ennesima foto
dallo stesso punto, con l’aria della metropolitana a sbattermi sul corpo.
Montmartre a mezzanotte è il luogo più bello della Terra. Credo. :)
RispondiElimina